Edifici produttivi multipiano: anacronismo o opportunità?
Questo articolo è apparso la prima volta sul n. 4/2024 di Elevatori Magazine
Parlare oggi di edifici industriali distribuiti su più livelli sembra una cosa fuori dal tempo. Un residuo un po’ arcaico della prima industrializzazione a cavallo tra fine ‘800 e inizio del ‘900.
Edifici affascinanti, senza dubbio (un esempio tra i tanti nella nostra vecchia Europa: i sobborghi industriali di Manchester, opifici tessili oggi riconvertiti a nuove funzionalità), ma da annoverare tra le modalità costruttive ormai tramontate, obsolete, a favore della semplicità di utilizzo e linearità delle strutture monopiano.
C’è certamente molto di vero in questo giudizio, ma forse, alla luce delle nuove esigenze produttive e delle necessità di non sprecare prezioso suolo vergine, questo modo di vedere va parzialmente riconsiderato.
E uno dei fattori chiave per questo ripensamento può essere l’odierna disponibilità di mezzi di sollevamento e trasporto verticale di merci/persone certamente inimmaginabili, nella loro attuale efficienza, sino a qualche decennio fa.

Naturalmente vi sono tipi di industria (una per tutti, l’industria pesante di lavorazione dei metalli) che devono necessariamente essere collocate interamente al livello del suolo. L’ingombro e il peso dei macchinari di lavorazione e dei manufatti è certamente incompatibile con una distribuzione dei reparti su più piani e con la movimentazione delle merci prodotte.
Ma ci sono molti altri tipi di lavorazione e/o di magazzinaggio per i quali invece potrebbe tornare di attualità la tipologia di edificio multilivello. Ovviamente con un layout ad hoc che (opportunamente integrato con moderni sistemi di trasporto in altezza delle merci e degli addetti) non crei scompensi a una ottimale organizzazione della produzione e della movimentazione delle materie prime e delle merci stoccate.
Si tratta di ripensare questa tipologia di edifici a partire dalla progettazione architettonica, che deve essere concepita attorno ai flussi delle persone e delle merci e deve concentrare gli sforzi (dove possibile) su una verticalizzazione del processo produttivo.
Quando lo Studio di Architettura Zaha Hadid ha progettato il BMW Central Building di Lipsia ha svolto un concept molto articolato che vede, in un contesto misto di uffici/laboratori/linea produttiva, la prevalenza di una distribuzione in altezza. Ho proposto volutamente un esempio di assoluta eccellenza, certamente realizzabile e sostenibile solo per un’azienda di primissimo livello mondiale. Eppure, anche in situazioni produttive di inferiore caratura, è indispensabile che questo tema non venga accantonato con superficialità.
Il consumo eccessivo di suolo, fenomeno ormai imponente nel panorama italiano, deve trovare un freno e lo studio di soluzioni di edifici multipiano può essere un aiuto importante. Occorre uno sforzo culturale e progettuale che permetta di programmare spazi produttivi, con costi sostenibili, che vadano in questa direzione.

Il disegno architettonico dell’edificio deve essere un vestito modellato attorno ai flussi di lavoro, opportunamente supportati da mezzi di sollevamento sempre più flessibili ed efficienti. Qualche segnale in questa direzione già si comincia a intravedere. Un solo esempio di grande attualità. Le nuove modalità di produzione di verdura denominate ʻfattorie verticaliʼ, realtà sempre più in crescita in Italia, sono un fenomeno sostanzialmente di produzione su più livelli, oltre a essere un esempio virtuoso di utilizzo mirato delle risorse naturali, l’acqua in primis. Il mondo sta rapidamente cambiando e il tessuto produttivo sta subendo profondissimi mutamenti.
Anche le modalità di pensare e realizzare gli spazi di lavoro non possono restare forzatamente ancorate al modello di edificio che si è imposto dagli Anni 80 in poi, si devono evolvere virtuosamente. Anche questo è ESG.